STOP parliamone - Il blog di Dora Ciotta


11- Matrimonio bene sociale[altre sezioni]

 

n.11 - Matrimonio bene sociale

Da un articolo di  Michele Brambilla – La Stampa 23.04.2015

 

“Se pensiamo a come la legge italiana regolava il matrimonio e la famiglia fino a una cinquantina di anni fa, davvero non possiamo non rallegrarci degli infiniti passi in avanti compiuti. Un tempo il matrimonio non era una storia fortunata, virtuosa e felice, ma un obbligo di legge; l’adulterio era un reato, più grave se commesso da una donna; la violenza carnale poteva restare impunita se il colpevole si impegnava a sposare la vittima.  

 Molti non ci crederanno, ma era davvero così e basterebbe questo a far capire quale perverso equivoco ci fosse allora sul valore del matrimonio. Il divorzio era, a quei tempi, possibile secondo le modalità del film di Pietro Germi, cioè accoppando la moglie - solo il marito aveva il diritto di accoppare - dopo averla beccata sul fatto con l’amante. Via via, uno dopo l’altra, tutte queste assurdità sono state per fortuna spazzate via: l’adulterio resta un reato solo nelle teocrazie, il delitto d’onore non c’è più ed è arrivato il divorzio. Fino al divorzio breve, con il quale bastano sei mesi non solo per chiudere per sempre un matrimonio ma anche per contrarne uno nuovo. Credo che nessuno possa avere nostalgia delle leggi e del costume che furono.  

Ma, premesso questo, premesso insomma che sicuramente nel cambiamento abbiamo guadagnato, è da conservatori, o peggio ancora da bigotti e reazionari, fermarsi un attimo a pensare anche - e sottolineo anche - che nel tempo abbiamo pure perso qualcosa?  

Non lo dico da un punto di vista della giurisprudenza o della politica. La politica deve legiferare e le leggi devono regolare in gran parte fenomeni che sono già presenti nella società. Così, il divorzio breve è solo una legge che prende atto di come oggi la maggior parte di noi italiani, ma più in generale di noi occidentali, concepisce il matrimonio e la famiglia: come un qualcosa che si può mettere insieme e disfare anche nel giro di un anno, pur con dei figli di mezzo magari, tanto la legge dice che è giusto così.

Il rischio di essere fraintesi nel fare discorsi del genere è enorme, ma ri-pongo ugualmente la domanda: siamo sicuri di non avere perso qualcosa?  

Ad esempio l’idea che c’è pure una bellezza nello stare insieme nonostante le difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. L’idea dunque che fare una famiglia è anche - pure qui l’anche è sottolineato - una storia di fatica, di sacrifici da compiere, di gesti e parole da perdonare, di rinunce, perfino di sopportazioni. Non è questione di chiedere l’eroismo. È questione di discernere fra il matrimonio-martirio, che nessuno vuole, e il matrimonio banalizzato, il matrimonio che si sta insieme finché si prova quello che si prova nei romanzi di Moccia, in un’eterna adolescenza.

Chiunque si innamora prova il desiderio che quel che sta provando non finisca mai: e certo non si può esigere l’eternità dell’amore per legge, ma il «ti amo» dei tempi nostri, cioè a tempo determinato, magari a tutele crescenti, beh insomma, forse un po’ di fascino l’ha perso. Non si vuole ovviamente giudicare nessuno, solo constatare che oggi molto spesso ci si lascia alla prima difficoltà. 

Il divorzio breve, se giudicato in superficie, è certamente una legge utile, che semplifica molte situazioni che altrimenti si trascinerebbero per anni, con il loro codazzo di rancori. Se guardato però un po’ più in profondità, è anche la spia di come siamo cambiati di fronte appunto a termini come fatica, sacrificio, rinunce, perdono, responsabilità, fedeltà a un impegno preso e a una parola data. Tutte cose che abbiamo smarrito non solo riguardo al matrimonio”. 

 

Dora- L’articolo che questa volta vi propongo intero nell’immensa alluvione di parole,di notizie e di racconti,di cui tutti i mass media c’investono, in particolare da due  anni a questa parte, sulle tematiche della famiglia e del matrimonio, è riuscito ad attirare la mia attenzione per il suo anticonformismo. Mi sembra possa aiutarci a far emergere il problema della ricerca delle motivazioni autentiche dello sposarsi oggi,in tempi di “società liquida”,di libertà senza autocontrollo,di confusione emotiva, e di facile dimenticanza. Urgono storie di vita autentica. Urge speranza.

 Suggerisco alcune piste per riflettere e per riferire. Per quali ragioni,ancora oggi ,nella società liquida,sposarsi,cioè decidersi per il Matrimonio? Non basta andare a vivere insieme con senso di responsabilità reciproca? Ci sono  ragioni ,ancora oggi  valide, per scegliere il Matrimonio in Chiesa? Con quali  atteggiamenti e comportamenti pratici testimoniare i valori in cui si crede, oggi in particolare ,nel quotidiano della vita,  da sposati? Mi rendo conto però che è forse molto difficile analizzare dettagliatamente, in una breve conversazione virtuale,convinzioni e sentimenti così forti e incarnati,così provati e prolungati come quelli che tessono la storia di un matrimonio. Forse è meglio raccontare semplicemente e liberamente la propria esperienza riservandosi però di proseguire ancor meglio in privato quel dialogo a due che le mie domande possono aver provocato o risvegliato.

 

1- Per quali ragioni,ancora oggi ,nella società liquida,sposarsi,cioè decidersi per  il Matrimonio? Non basta andare a vivere insieme con senso di responsabilità reciproca?

 

  Giorgio Campanini – Parma-  Data ormai da quasi mezzo secolo la mia riflessioni su questi temi:dopo aver scritto in materia una decina di volumi,come ritrovarmi in poche righe?...La congiuntura storica, che può convenzionalmente farsi iniziare con il fatidico “68”,si è caratterizzata per un fatto assolutamente nuovo nella storia del mondo e ancora estraneo alla cultura di tre quarti dell’umanità …,e cioè la messa in discussione di tutte le istituzioni,nessuna esclusa. Mentre tuttavia alcune di queste contestazioni (quella dello Stato,del lavoro divenuto disumanizzante,dell’esercito,e così via)  sono state ben presto accantonate,quella del matrimonio, quale “zoccolo duro”,è rimasta. Perché mai?Perché -dissoltisi i sogni del cambiamento della sfera pubblica -il mito rivoluzionario è persistito nel privato:qui almeno si poteva essere liberi di sposarsi o di non sposarsi,di generare o di non generare,e nessuna imposizione della società appariva,ed appare,ammissibile.

 

Sono dunque gli individui,autoreferenziali ed autosufficienti,che decidono. Il problema reale è che questa “decisione”-nei nuovi orizzonti della post- modernità -è  continuamente rimessa in discussione:si “sta insieme”,quale sia la forma della convivenza, perché“si sta bene”;ci si divide quando “si sta male”,quando il “sogno d’amore” è-o si ritiene sia -finito. Ogni rapporto “formalizzato”-con il matrimonio o con una convivenza comunque “regolata”-sembra essere una gabbia che rinchiude e alla fine corrode l’amore.

E’ questa la grande sfida del tempo:avere il coraggio di una scelta che vuol essere definitiva, sapendo  che l’altro -un unico altro -è un continente inesplorato,che rivela solo nel corso del tempo tutta la sua ricchezza,nella buona e nella cattiva fortuna. Il “tempo lungo”della relazione non è la “tomba dell’amore”,ma il luogo di una sua ricorrente e persistente rinascita,in un rapporto a due che il tempo non corrode ma rafforza.

 

Franco e Anna Maria – Alba - L'amore nasce tra due persone ma ha bisogno di essere riconosciuto dalla comunità nella quale si vive. E' un bisogno “legale” che stabilisce diritti e doveri tra i due e con i figli che verranno (gli articoli 143, 144 e 147 del Codice Civile, che vengono letti nella celebrazione del matrimonio spiegano bene), ma è ancor più un bisogno “annunciativo” in cui lo sposo e la sposa comunicano alla comunità  di amarsi e di formare una coppia.

La responsabilità reciproca, in un'istituzione sociale come la famiglia, non è limitata alla coppia ma si estende alla comunità. Il matrimonio è la comunicazione di un sentimento che si vuole fissare nel tempo e contemporaneamente richiesta d'aiuto a viverlo in pienezza.

 

Fabrizio – Mortara  --Dico  subito che il mio intento giovanile non è trasmettere verità,ma curiosità e interesse. Matrimonio per me è una parola che, quasi inevitabilmente, come comunione o funerale, riporta alla chiesa e alla religione; o almeno ciò accade in Occidente. Ma matrimonio e nozze sono termini che non per forza dipendono dalle religioni, bensì possono essere considerati anche solo in ambito civile e giuridico.Quindi il matrimonio, se visto come promessa, come patto, o magari anche come una sorta di rituale di unione è  una sorta di vincolo morale e sociale tra due (o,come in alcuni posti del mondo, tra più) persone che si accingono ad amarsi e ad aiutarsi reciprocamente per formare una felice famiglia. Ovviamente in passato però il matrimonio non è stato sempre gradito da tutti, ma anche tutt'ora è così: figlie che devono sposarsi con figli di nobili o aristocratici, matrimoni prestabiliti fin da prima la pubertà, matrimoni utilizzati come espedienti sociali. Ma, dato che siamo fatti per amare e dato che l'amore forse è il motore di ogni nostra scelta, che senso ha condizionare una vita a tal punto? Forse il matrimonio deve quindi essere qualcosa di più immateriale, di più metafisico si potrebbe dire. Un legame reciproco tra due anime che decidono di amarsi perché è quello che entrambe vogliono, con la speranza di essere felici, e perché no, di fare molti figli. Quindi sposarsi - che sia in chiesa o in comune - ha solo delle utilità civili e sociali, ma il vero matrimonio è nel cuore.

Nulla però vieta di sposarsi, specialmente se in chiesa. Se si è credenti, è giusto che si compia l'atto del matrimonio cristiano. Il fatto è che l'amore, e mi scuso con tutti i poeti, non è qualcosa si spirituale o trascendente, o  meglio, lo è sotto certi punti di vista, ma è anche un fenomeno scientifico; certamente in gran parte da scoprire, ma comunque ormai già noto per molti aspetti. Il nostro sangue è saturo di tantissimi tipi di ormoni secreti da vari tipi di organi o ghiandole, e molti di questi determinano il nostro umore. Lo stress, l'ansia, l'eccitazione ed anche la situazione di "farfalle nello stomaco" quindi sono alcuni degli stati d'animo che variano in base alla presenza di ormoni rilasciati nel nostro organismo. L'amore è quindi il risultato di una complessa operazione matematica tra il numero di questi ormoni dentro di noi, come l'endorfina, la serotonina, la dopamina. E inoltre l'amore, come tutte le cose, non è quindi nemmeno assoluto, bensì varia nel tempo ed è "cangiante": a volte sfuma più verso l'erotismo, altre verso la tenerezza, altre ancora verso la solidarietà o verso la passione.

Cosa voglio intendere con questa considerazione ? che non si può sperare in un amore infinito che è monotono, statico; ma in un insieme di alti e di bassi, in una condizione di continuo cambiamento. E, sempre scientificamente parlando, non si può nemmeno parlare di un orientamento sessuale assoluto nelle persone, non è quindi anormale o disumano divenire omosessuali a quarant'anni e rotti; questo sempre perché l'orientamento sessuale è sempre una questione di ormoni. Quindi l'amore non per forza è immortale, soprattutto oggi che i valori religiosi e spirituali e morali di una volta stanno svanendo. Ma l'amore verso i propri figli, verso la propria vita trasmessa nel corpo di un neonato, questo si,  forse è vero amore indistruttibile.

Questo potrebbe comprenderlo meglio un credente: Dio non potrebbe mai smettere di amare gli uomini,suoi propri figli. E allora, due potrebbero anche smettere di amarsi dopo aver partorito uno o più figli ma, l'amore verso i figli non deve terminare mai, anche perché essi sono come la nostra permanenza nel tempo per quando saremo morti; e allora, padre e madre, che si amino o meno, devono dare il massimo comunque per i propri figli. Quindi forse il matrimonio non dovrebbe tanto servire  a due persone per amarsi, esse infatti possono farlo tranquillamente anche senza, tutt’al più dovrebbe servire come una promessa, un giuramento rivolto verso la famiglia, verso quindi i propri figli. Perché non c'è forse compito più nobile ed importante di crescere un figlio.

Incomunicabilità: senza comunicazione non c’è famiglia.  Comunicare significa innanzitutto Parlarsi: così Eugenio Borgna ,con la sua esperienza pluridecennale di psichiatra,ha voluto intitolare il suo ultimo libro (in uscita  da Einaudi), dedicato alla «comunicazione perduta» o, meglio ancora, a quel dono salutare che è la comunicazione ritrovata. Ogni essere umano,infatti, la comunicazione può essere salutare, fonte di salute, «sinonimo di cura» come osserva Borgna, perché la qualità della vita dipende dalla qualità delle relazioni e, quindi, dalla qualità della comunicazione, a tutti i livelli in cui si svolge - con sé stessi, sul piano interpersonale, sociale, politico... –e con tutte le potenzialità racchiuse nel nostro corpo che la veicolano: dallo sguardo alle lacrime, dalle parole alle carezze, nel silenzio come nel dialogo cordiale … Comunicare è soprattutto «donare», rendere comune, condiviso da altri, ciò che è proprio, disponendosi a propria volta a ricevere dall’altro. Dirsi è darsi,in un movimento non unidirezionale, ma circolare, reciproco e interattivo fra partner che si scambiano segni e messaggi al fine di un’intesa, di un accordo,cioè,  di una sintonia di cuori. Tale scambio non può lasciare immutati:l’identità è modellata nella comunicazione,perché l’essere umano è comunicativo e nessun suo comportamento, lo voglia o meno, sfugge a questa legge ….Comunicare  si rivela essere un’arte, non una tecnica,e un’arte che esige umiltà.
La comunicazione infatti non nasce da un di più, da un troppo, da un pieno, bensì da un vuoto, dalla coscienza di una mancanza, di un bisogno:comunicare significa affermare il proprio bisogno dell’altro, riconoscere che siamo sempre debitori e dipendenti da altri per la nostra vita.( dalla recensione di Enzo Bianchi su La stampa del 25 agosto 2015)

 

Francesca - Sono una ragazza  di 18 anni della provincia di Ancona,  figlia  di genitori  pugliesi e con due fratelli,non troppo praticante  ma non senza fede. Ho scoperto per caso questo blog così diverso dagli altri e vorrei iscrivermi. Come si fa?...Grazie,Dora,delle domande sul matrimonio. Non è facile rispondere perché non se ne parla molto in giro. Io  però vi dirò quello che penso. Se  e quando  incontrerò un  “uomo” che davvero mi piaccia a tutti i livelli,io voglio sposarlo,non lasciarlo andare. Il perché posso dirlo subito. Con lui voglio crescere fino ad avere dei figli da educare assieme a lui. Dai miei  ho imparato che si cresce quando s’impara a tacere e a parlare,a tenere gli impegni con dignità,a trattare tutti con rispetto per essere rispettati,a guardare con  cuore aperto soprattutto i poveri.Io tutto questo lo voglio fare con il mio uomo,anche se sono certa che,con il mio carattere,e forse con il suo,spesso ci scontreremo. Ma poi faremo pace. Ogni volta pace. Io  voglio il Matrimonio con lui,perché per imparare tutto questo assieme a lui ho bisogno di tempo,di molto tempo. E voglio chiedere per questo assieme a lui la benedizione di Dio per riuscire a fare un matrimonio che duri.

 

Gianfranco e Maria - Martina Franca-  Il matrimonio ha un senso profondo,soprattutto e proprio in questo tempo di  frantumazione delle relazioni sociali. Alla  tessitura e ritessitura di legami forti e stabili è legata la speranza di poter rifondare comunità che abbiano cura della vita propria preoccupandosi al tempo stesso di promuovere la vita degli altri, biologicamente e simbolicamente.

Il legame matrimoniale per noi ha un posto speciale proprio sul terreno della ricostruzione della comunità. I giovani oggi sono fortemente tentati di fare un uso “adolescenziale” della libertà. Hanno bisogno di non essere lasciati soli e di poter incontrare adulti sposati credibili e capaci di dialogo.

 

Franco e Anna Maria – Alba - L'amore nasce tra due persone ma ha bisogno di essere riconosciuto dalla comunità nella quale si vive. E' un bisogno “legale” che stabilisce diritti e doveri tra i due e con i figli che verranno (gli articoli 143, 144 e 147 del Codice Civile, che vengono letti nella celebrazione del matrimonio spiegano bene), ma è ancor più un bisogno “annunciativo” in cui lo sposo e la sposa comunicano alla comunità  di amarsi e di formare una coppia La responsabilità reciproca, in un'istituzione sociale come la famiglia, non è limitata alla coppia ma si estende alla comunità. Il matrimonio è la comunicazione di un sentimento che si vuole fissare nel tempo e contemporaneamente richiesta d'aiuto a viverlo in pienezza.

 

Rosanna – Roma - Penso che  da un matrimonio ben armonizzato  possa aprirsi una famiglia che diventi  punto di riferimento nella società e contribuisca alla stabilità dei valori che essa rappresenta. Anche i figli,che sono la radice di una unione,nel matrimonio civile o religioso che sia, vengono riconosciuti nei loro diritti. Nel matrimonio religioso poi è l'appartenenza  ad una confessione religiosa e alla fede in essa che consente di avere un sostegno della comunità a cui si appartiene.

Nell'attuale società liquida spesso mancano progetti a sostegno della famiglia e questo forse fa comprendere perché, soprattutto le donne non vogliono più figli .Spesso infatti sono sole a crescerli,a volte sono più gli uomini a volere un figlio come proiezione di se stessi.

Dalle numerose testimonianze di persone che ho conosciuto,soprattutto quelle vissute nell’associazione Famiglia Aperta,posso dire che le coppie sposate,poi divenute famiglie, erano l'esempio naturale di coerenza  con le scelte dei valori che li avevano spinti a sposarsi. Se ne traeva un esempio di solidità di affetti che trasformavano in positivo la realtà quotidiana della società in cui viviamo.

 

Roberto – Vimercate - Cercherò di dare il mio contributo argomentando , o contestando, alcuni passi dell’articolo, che “.. esemplifico”  e   commento : “ .. noi occidentali .. concepiamo il matrimonio …  come un qualcosa che si può mettere insieme e disfare … tanto la legge dice che è giusto così.”       Il fatto che la legge non punisca più alcuni comportamenti,  non significa affatto che li giustifichi o li incoraggi. 

 Io ho a suo tempo scelto un impegno “indeterminato” nel mio matrimonio,  indipendentemente dalla possibilità o meno di sciogliere il mio impegno grazie alla legge.   Non credo peraltro che lo schema rigido di allora  abbia aiutato a prendere la mia decisione.    Parlo volutamente al singolare:  anche se l’aspetto della decisione presa a due aveva (ed ha) un valore premiante aggiuntivo,  penso che la responsabilità di quella decisione sia stata (e continui ad essere)  personale, individuale e per nulla favorita dagli schemi legislativi del tempo.    Forse ho un atteggiamento “protestante” , un po’ Kantiano , nei confronti di tale decisione, in cui ero solo  - sotto il cielo stellato -  a confronto con me stesso,  e considero banale aspettarsi dall’esterno (legge,  istituzione,  religione, o quant’altro) le motivazioni per una scelta personale “definitiva”. “ .. siamo sicuri di non avere perso qualcosa? .. ”     Non vedo come l’evoluzione legislativa ci abbia tolto qualche cosa - quello che abbiamo perso non è a mio parere causato dalla legge -  al contrario la legge ha accettato - non consigliato o auspicato - quegli aspetti oramai consolidati nell’ambito sociale con enorme ritardo;   questo ritardo ha creato aree di disaffezione e situazioni di scelte antagoniste -  forse autolesioniste -  giusto per contrasto dell’ ”autorità”.    Basta pensare al ritardo con cui l’istituzione religiosa ha (non ha) valorizzato il valore umano dell’amore fisico nella coppia, in favore delle finalità procreative.    Penso anche io di avere perso qualche cosa:  ma a causa delle idee distorte, anche nella mia testa ,  causate da un contesto culturale, sociale,  e religioso prescrittivo e molto poco empatico nei confronti delle difficoltà della coppia nell’essere e nel perseverare nella pratica della famiglia.    Basta pensare al ritardo con cui la politica  ha affrontato uno schema fiscale premiante del nucleo famigliare (esempio: il quoziente famigliare, spesso evocato, mai adottato).“.. c’è pure una bellezza nello stare insieme …  una storia di fatica, di sacrifici da compiere, di gesti e parole da perdonare, di rinunce, perfino di sopportazioni …”   Sulla base di quanto commentato prima, concordo con questi contenuti, ma forse per motivi diversi da quelli che mi sembrano ispirare l’articolista della Stampa.  “… non si può esigere l’eternità dell’amore per legge, ma il «ti amo» dei tempi nostri, cioè a tempo determinato, magari a tutele crescenti, beh insomma, forse un po’ di fascino l’ha perso …”   E’ vero: non si può esigere questo tipo di impegno per legge,  e quindi non c’è alcuna perdita di fascino per via che la legge oggi non lo rende più obbligatorio.   La legge non c’entra affatto con il momento, l’occasione, l’opportunità, la volontà di prendere questo tipo di impegno, a tempo non-determinato !    Io ricordo con estrema precisione il momento di quella mia scelta: il giorno, il luogo, il clima,  il contesto ed ovviamente la compagnia.  Ricordo il modo con cui si è formata quella scelta - nemmeno espressa verbalmente, al momento - e ricordo che non c’era alcuna condizionamento esterno sulla mia scelta privata.      “… Tutte cose che abbiamo smarrito non solo riguardo al matrimonio …”  è vero !  ma ne siamo personalmente responsabili;  non possiamo incolpare la legge,  se non forse per il suo ritardo a togliere di mezzo gli steccati.  Si possono seguire percorsi anche complessi, senza barriere e steccati ad indicarti il cammino; in tali condizioni le scelte libere possono essere molto più mature e responsabili (anche se forse molto meno numerose!)

 

Anna Irma - Genova - Ho trovato molto interessante l'articolo di Michele Brambilla.  Mi è piaciuto il suo guardare il problema in profondità e porre domande,che giudico assai giuste. Fatica, sacrificio, rinunce, perdono, responsabilità, fedeltà, tutte cose smarrite o liquide come afferma Bauman. Perché faticare, sacrificarsi, rinunciare?

Tutto cambia velocemente. Tutto si consuma e dunque anche i sentimenti si esauriscono. Vero è che ,da piccolissimi, i bambini vengono educati in questo clima. Più di cinquanta anni fa si parlava del “logorio della vita moderna” che impediva la serenità nelle famiglie, poi si è convenuto che la televisione era la ladra di casa con quel suo ammutolire le famiglie. E così avanti , con le nuove tecnologie.

Poiché non sono sposata non ho titolo forse per affrontare l'argomento.  Tra gli amici sposati o le coppie che per vari motivi ho conosciuto, non  sono molte quelle che mi hanno comunicato i loro sentimenti di gioia, di coraggio, di tenacia. Credo di poter dire però che solo chi sa rinnovarsi e confrontarsi sugli obiettivi comuni, può dire come l'amore negli anni si sviluppa, cresce e si rafforza. Poi ho conosciuto molte coppie che possono parlare di lunghi anni vissuti insieme, ma al di là di inevitabili stanchezze dovute a malattie, sono coppie che si sopportano; ne è una prova la forte percentuale di richieste di divorzio breve presentate da persone ultrasessantenni.

 

Dora- Da quanto è stato comunicato e testimoniato in questa nostra conversazione mi pare si ricavi ,più che la conferma che“l’intimità vince sul contratto”(come afferma Claudia Mancina nel suo “Famiglia italiana”),la sottolineatura di un forte impegno personale e responsabile,superiore alla  stessa fiducia nelle leggi,anche se poi si finisce tutti col ricorrere alle leggi per affermare diritti e sostegno,soprattutto per i figli. Non manca però la consapevolezza del bisogno irriducibile del sostegno della comunità di appartenenza.

Appare pertanto indispensabile,in un tempo in cui nella Chiesa Cattolica si  rinnova con parole e gesti esemplari il primato del vangelo nella famiglia e nella società,riscoprire le ragioni del matrimonio Sacramento,di cui in genere si sottolineano le esigenze radicali più che le sovrabbondanti energie di grazia e di misericordia che le accompagnano e sostengono. Proviamo quindi a riscoprire le ragioni dello sposarsi in Chiesa e le testimonianze di vita che luminosamente ne conseguono per la comunità intera.

 

 

2-Ci sono  ragioni ,ancora oggi  valide, per scegliere il Matrimonio in  Chiesa? Con quali  atteggiamenti e comportamenti pratici testimoniare i valori in cui si crede, oggi in particolare , nel quotidiano della vita,  da sposati?

 

Pino e A. Maria– Genova  Noi crediamo di si, ma solo a patto di una riscoperta del matrimonio come  Sacramento celebrato dai due sposi nell’ambito di un cammino di fede che coinvolga entrambi e poi la loro coppia . Da questo punto di vista, l’attuale prassi pastorale della Chiesa italiana ci sembra, in generale, del tutto inadeguata, al di là della buona volontà dei singoli operatori e nonostante l’impegno innovativo di diversi  presbiteri e laici in questo campo.  Ci sembra necessario un cambiamento radicale nella preparazione e nella celebrazione del  “matrimonio in chiesa”.

Per quanto riguarda la celebrazione, ci pare che   il matrimonio “concordatario”,  con la sua duplice valenza civile e religiosa, rischia di nascondere e di fatto almeno appanna la valenza sacramentale. In occasione  della revisione del Concordato, negli anni ’80 del secolo scorso, la Chiesa italiana ha perso una grande occasione di ritornare alla prassi vigente prima del 1929, di separazione tra il matrimonio celebrato   fronte all’ autorità civile, con tutti suoi effetti, e la celebrazione del sacramento nella comunità ecclesiale. Ci ricordiamo bene quella vicenda: ci fu un patto di reciproca convenienza tra la Chiesa istituzionale, ancora prigioniera della sua concezione della “cristianità” e il potere politico, allora nelle mani dei socialisti, nonostante le voci critiche di tanti “cristiani adulti”, sia a livello ecclesiale che nella stessa D.C. Comunque, nella attuale situazione italiana, la preparazione assume un ruolo decisivo per la valorizzazione dell’aspetto sacramentale del matrimonio cristiano, con un paziente lavoro di formazione e presa di coscienza.  Solo così si potrà evitare che la scelta di sposarsi in Chiesa sia dettata da ragioni di tradizione, convenienza, compiacenza con i parenti, la bella chiesetta, ecc., che nulla hanno a che fare con il sacramento. Siamo convinti che i “Corsi prematrimoniali” abbiano ormai dimostrato i loro limiti: si mettono insieme  principi etici, in particolare per quanto riguarda la sessualità, aspetti giuridici, psicologici e quant’altro, in un centone che si cerca di finire al più presto, per  ottenere l’agognato “ticket” che ammette al “rito” del matrimonio.

 Sarebbe invece necessario un   cammino strutturato di riflessione, che, a partire dalla Parola di Dio e dal loro amore, aiuti con pazienza i  due a riscoprire la fede come rapporto personale e poi di coppia con il Signore, da coltivare e alimentare dopo il matrimonio, nella comunità ecclesiale. Un presbitero, nostro grande amico, ormai nella vita eterna, incontrava i nella due aspiranti al matrimonio una volta  alla  settimana per un anno intero, avviando un rapporto personale ed ecclesiale che continuava dopo il matrimonio: una esperienza molto significativa di cui siamo stati testimoni.

Siamo convinti che senza questa fede cosciente non esiste il Sacramento: quanti matrimoni celebrati  in chiesa saranno stati nulli per questo motivo? Di tutto questo certo Papa Francesco  e la Gerarchia sono  coscienti ( vedi le recenti istruzioni alla Sacra Rota), ma la prassi ecclesiastica in generale sembra ancora molto lontana. Ancora una volta speriamo  nella profezia efficace del prossimo Sinodo.

 

Lidia e Giuliano – Foligno - Ci siamo sposati in Chiesa 42 anni fa,con spirito critico e anche con una buona dose di presunzione di fare meglio rispetto alle famiglie di origine. Il tempo trascorso insieme, però,ci appare estremamente breve,nonostante la complessità del vivere il matrimonio stesso ,inteso come sacramento,e di tante contingenze che non sempre in modo sereno e pacifico ci siamo trovati ad affrontare.

Possiamo dire che la nostra vita è stata ed è ancora una continua ricerca per smascherare l'individualismo,che affatica la vita di coppia e della famiglia, per non parlare di tante altre molteplici forme di esplicitazione delle rispettive diversità. In questa traversata non siamo stati soli,ma abbracciati  da una rete di relazioni positive e di amici preziosi che hanno alimentato la nostra quotidianità ( pensiamo in particolare all’associazione Famiglia Aperta ).

 Nell'attuale contesto sociale,al di là delle critiche,dovremmo puntare  sempre meglio su quei segnali di speranza, quali ad esempio: la domanda non sempre ben espressa di relazioni autentiche,o di valori per i quali spendere la vita;non trascurando come in passato,quelle componenti dell'educazione all'affettività,come l'eros e il piacere,essenziali per mantenere viva la coesione della coppia e l'impegno di fedeltà. La Parola di Dio,parola di amore e misericordia,come sottolinea costantemente Papa Francesco,può aiutarci nell'esperienza matrimoniale,a trovare parole e gesti che siano segno dell'amore di Dio verso gli uomini e le donne,testimoniando il valore della relazione gratuita,del dono di sé,della solidarietà,della cura, di uno stile di vita sobrio per modificare l'individualismo esasperato e i comportamenti utilitaristici.

 Infine,la nostra fecondità di coppia,che non sia intesa solo nella dimensione procreativa,ma nell'apertura verso tutti, in atteggiamento di accoglienza,di condivisione e di attenzione ai problemi dell'umanità, in un contesto di pari dignità tra uomo e donna,condividendo gli impegni,famigliari,nell'ascolto e nel dialogo fra le generazioni.

 

Franco e Anna Maria - Alba- Chi ha fatto nella vita una scelta di fede cristiana riconosce che per dare un senso valido alla propria esistenza è necessario seguire le indicazioni che Cristo propone nel Vangelo. L'amore totale è monogamico e indissolubile, non per fare un sacrificio, ma per realizzare la felicità che ogni uomo cerca.

La  promessa che gli sposi si scambiano nel matrimonio celebrato in chiesa viene accolta da una comunità entro la quale gli sposi sono membri vivi, attivi e propositivi.

Il bene che si realizza nella coppia non può essere limitato ai due ma, sempre più coscientemente, deve allargarsi e trasmettersi innanzi tutto ai figli e poi ad ogni genere di bisogno che si manifesta nella vita sociale, inserendosi nelle organizzazioni civili entro le quali confrontare le motivazioni, anche di fede, che sostengono il proprio agire.                                                                                                                                                                                        

 Chiara – Cosenza - È davvero bella la provocazione che ci viene dall’articolo de La stampa … Io ho sposato, 14 anni fa, un uomo divorziato, di 14 anni più grande di me, con una figlia che aveva  allora 11 anni. Mio marito era stato sposato solo civilmente, perciò abbiamo potuto celebrare il nostro matrimonio in chiesa.  Perché ci siamo sposati? E perché in chiesa? Da piccola conoscevo già la realtà della convivenza che i miei genitori, forse per rendercela familiare e “accettabile”, avevano definito un “matrimonio naturale”, riferendosi ad una coppia di amici che vivevano insieme senza essere sposati.

Mio marito ed io, però, abbiamo deciso di sposarci e di sposarci in chiesa. Eravamo, e siamo, convinti che il matrimonio non sia solo un affare privato, che interessa solo gli sposi o, al massimo, le reciproche famiglie. Siamo convinti che il matrimonio di due persone riguardi tutti: i familiari, gli amici, la società, la comunità parrocchiale, il mondo intero. Al nostro matrimonio abbiamo voluto la partecipazione di tanta gente, soprattutto amici impegnati nel servizio ecclesiale. Pensiamo che non basti la responsabilità reciproca, ma che ci sia bisogno della vicinanza e del sostegno degli altri (da 14 anni facciamo parte di un gruppo dell’Equipes Notre Dame), e della presenza del Signore che sostiene dal di dentro il nostro amore, le nostre fatiche, le nostre difficoltà, le nostre gioie.

E le difficoltà e le fatiche non sono mancate, ma le abbiamo affrontate, e continuiamo ad affrontarle, sostenendoci reciprocamente, confrontandoci fra noi e con altri, pregando, chiedendo aiuto, perché “c’è pure una bellezza nello stare insieme nonostante le difficoltà che la vita inevitabilmente presenta.”

 

Anna Irma – Genova – In forza della mia esperienza di volontariato mi  sento  di proporre alcune mie considerazioni sul valore di un matrimonio cristiano.

Il priore Enzo Bianchi, nella premessa di alcune dispense, scritte agli inizi della Comunità di Bose, su:  Realtà penultime: sessualità, lavoro, piacere, scriveva : “….Né si dimentichi che la Croce e la Resurrezione non hanno soppresso le realtà penultime, ma hanno permesso che le energie divine si spandessero più fortemente nella vita degli uomini. Proprio per questo, sessualità, lavoro, piacere, sono luoghi teologici e non temi periferici della riflessione e dell'esperienza cristiana: anzi sono luoghi cristologici su cui la chiesa gioca la sua fedeltà al Signore”

                Considero il matrimonio con questo spirito, che sia celebrato in Chiesa oppure no. Sono dell'opinione che l'amore debba  essere vissuto nel tempo, nella continua alternanza di prossimità e di distanza, di conoscenza e anche di infedeltà, intesa come sbandamento che potrebbe rinforzare un amore vero, se dall'altra parte c'è la disponibilità a comprendere.

Purtroppo e specialmente nel tempo attuale, si considera l'amore, (non voglio parlare della semplice attrazione, il più delle volte ingannatrice), un'emozione che quando si prova è già tutto, mentre è solo l'inizio di un rapporto che non si sa dove porta, ma che di certo richiede un continuo progettare la propria vita in funzione di un sentimento che la costruisce, e che partecipa con l'esempio al bene della realtà sociale che ospita la coppia. 

 

Gianfranco e Maria - Martina Franca- Questa domanda andrebbe rivolta alle parrocchie che, nei percorsi che offrono a coloro che stanno per sposarsi in Chiesa, sono chiamate a fare più sul serio.

 Le comunità cristiane possono essere credibili nella misura in cui il cammino di fede che annunciano  si collochi nel segno dell’Alleanza e sappia educare alla responsabilità, all’alterità e all’esercizio della misericordia. Molta pastorale poggia ancora sulla frettolosa preparazione di coloro che si accostano ai sacramenti.

Le persone sposate possono annunciare la bellezza del loro legame  nella misura in cui sappiano dar conto della speranza che è in loro (come dice il Vangelo), con semplicità e franchezza. Un nostro figlio ci ha comunicato tempo fa che il nostro matrimonio gli aveva insegnato a generare, da sposato, fraternità e accoglienza nelle relazioni quotidiane e che  ciò contava molto di più delle fragilità e dei limiti che leggeva nella nostra coppia. Ne siamo stati felici.

 

Dora  -A conclusione della nostra breve  ma intensa conversazione aggiungo l’accenno a due interviste/testimonianze sorprendenti e forse  non molto note. La prima riguarda il regista cinematografico Pupi Avati che,intervistato da Angela Calvini sull’Avvenire del 7 giugno u.s.,ha annunciato un suo speciale progetto:”Porterò in TV il Vangelo,trasportato ai nostri giorni,perché oggi formare alla grande lezione evangelica è tutt’altro che inutile,anche per i non credenti”.Ha quindi informato di aver iniziato le riprese del film TV “Le nozze di Laura,ispirato all’episodio evangelico delle nozze di Cana , ” che è il momento in cui -spiega il regista bolognese- attraverso il suo primo miracolo dell’acqua trasformata in vino,Gesù si mostra per la 1° volta come Figlio di Dio …. Nel contesto attuale della Calabria,dopo molte difficoltà,riescono a sposarsi, un ragazzo del Ciad,(raccoglitore di arance per studiare medicina a Bologna) e la figlia del proprietario dell’agrumeto. Il miracolo è appunto questo,che si sposano due culture così lontane e che i giorni che stiamo vivendo rendono sempre più diffidenti tra loro ….Oggi si vive all’opposto (credenti e non)  della lezione evangelica “Amerai il prossimo tuo come te stesso”:l’unico metro di giudizio è quello economico. Mi spiace dirlo,ma avviene in tante famiglie,nella scuola, e nella stessa TV dove trionfa la quantità rispetto alla qualità …. Questo film parla di accoglienza,contro la “cultura dello scarto”,come la definisce Papa Francesco”.

La seconda è l’intervista di Vincenzo Spagnolo al sindaco di Roma sull’Avvenire del 6 agosto u.s.,nella quale Marino con un sorriso anticipa:”Sarà bene che i milioni di pellegrini intenzionati a venire a Roma per  l’Anno Santo della Misericordia mettano in valigia scarpe comode,perché si tratterà di un “Giubileo da vivere a piedi”… Presenta poi i primi 4 percorsi giubilari all’interno della città,che si stanno studiando e decidendo tra  incaricati del Comune e  del Vaticano.”L’idea è quella di una visione diversa dal Giubileo del 2000,che necessita un altro tipo di organizzazione per favorire insieme pellegrini e residenti. Non più percorsi basati sull’uso di automezzi per arrivare più vicino possibile ai luoghi di culto,ricostruiti immaginando che almeno una parte del cammino dei credenti sia compiuto a piedi”. Percorsi di fede e di penitenza,di scoperta e riscoperta dei luoghi di culto,alcuni anche dimenticati dagli stessi romani.

Quest’idea mi è piaciuta molto,anche perché può rappresentare suggestivamente la più bella metafora del matrimonio: cammino con l’altro e con gli altri  e,insieme, impegno personale,penitenza e gioia di fecondità, scoperta continua e lode e preghiera.

 

 

 

 

Nel cammino spesso non facile della vita ogni tanto rallentare: fermarsi e parlarsi.

 

 

DIALOGO APERTO

Anna Irma - Genova – Vorrei spiegare meglio quel che io penso sul Volontariato  al prof.Campanini-. Tu sostieni che in tempi di crisi e di disoccupazione o sotto occupazione, il volontariato deve essere meglio disciplinato, anche dal punto di vista legislativo, per evitare il persistere di frequenti equivoci.

In realtà, per questo, le leggi – che sempre vanno peraltro migliorate - già ci sono e che, il terzo settore o il non profit ai quali tu accenni, prevedono al loro interno anche il lavoro volontario. La Legge quadro sul volontariato n. 226/1991 prevede un rimborso spese per il volontario ed è su questo rimborso spese che si può giocare un lavoro sottopagato, in attesa di un'assunzione magari nella stessa associazione dove si è  “volontari”.

Mi permetto una precisazione su quando dici che” il volontariato esige una radicale disponibilità alla gratuità”. È il volontario – non il volontariato - che deve avere una gratuità materiale, morale e motivazionale; anche il più piccolo gruppo di volontariato ha delle spese che possono essere sostenute con una partecipazione gratuita degli stessi componenti del gruppo, ma che possono e in certi casi debbono essere sostenute dall'Istituzione.

Mi interessa anche precisare l'affermazione: “Sta proprio nella gratuità il fascino ma anche il limite del volontariato, perché non si può né lavorare " a tempo pieno", né diventare specialisti”.Chi lavora a tempo pieno é in qualche modo compensato, magari non lo dice, ma nei fatti ha l'equivalente di una  retribuzione. Ma non si tratta più di volontariato. Invece il volontario può dare il suo contributo oltre il suo normale orario di lavoro, durante le feste e anche durante le ferie. Ci possono essere,e di fatto ci sono, dei professionisti quali avvocati, medici, infermieri, insegnanti, disponibili a dare un contributo completamente gratuito, nel loro tempo libero.

Un’ ultima osservazione a proposito di “specialisti”: chi si sente di impegnarsi nel volontariato deve avere un minimo di formazione. I Gruppi e le Associazioni devono, dovrebbero, curare periodicamente la formazione dei loro volontari, in particolare con attenzione alla personalità degli stessi volontari perché il lavoro volontario non si traduca, come  sovente succede, in un'attività compensatrice di problemi personali che andrebbe a tutto danno di chi si vuole aiutare.

 

Giorgio Campanini -Parma- Sono sostanzialmente d’accordo con la gentile interlocutrice e con quanto essa osserva. Da parte mia ribadisco che il volontariato non può diventare una “professione” retribuita,seppure parzialmente,ma deve avere il carattere della gratuità,sia pure,in alcuni casi,con la possibilità di un reale rimborso spese.

Ciò che nel mio intervento volevo mettere in evidenza è il rischio -che,sulla base della mia esperienza,non mi sento di definire astratto -che il volontariato diventi una professione o anche sia esercitato in vista di una possibile professionalità futura.

 Il volontario,dunque,deve avere (o avere avuto,se pensionato)una sua precisa identità professionale ed,accanto ad essa,non in funzione di essa,un sua specifica professionalità “esterna”.

Che poi le esperienze acquisite in attività di volontariato possano aprire la strada ad una “professionalità” non mi scandalizza oltre misura:restando però ben inteso che,se il volontariato viene inteso come anticamera di una futura occupazione,esso rischia di smarrire il suo significato originario,quello della gratuità.

 

Rosanna - Roma - Gentile Maria Rita di Genova,ho scelto lei per avviare il dialogo  aperto del blog,perché ho trovato i suoi interventi interessanti e originali e mi sono spesso sentita in sintonia con lei. Anche per le esperienze personali da lei raccontate. Condivido molte delle sue osservazioni,soprattutto per quanto riguarda la Scuola. Sono anch’io convinta che educare e educarsi sia il percorso giusto per il confronto e il dialogo vero tra persone disposte a crescere. L’ho imparato stando a contatto con i giovani in quarant’anni di insegnamento nei licei e negli Istituti Superiori di diverse regioni d’Italia.

Mi sono anche riconosciuta nella sua descrizione della figura femminile donna e madre,educata a tacere ed obbedire: probabilmente apparteniamo alla stessa generazione. Infine anch’io ho voluto fare l’esperienza della psicoterapia,liberante dagli orpelli di antiche sofferenze con la gioia di una nuova consapevolezza. Chiudo ringraziandola e salutandola.

 

M. Rita - Genova -Cara Rosanna,rispondo con ritardo per motivi vari …,ma contenta d’incontrare qualcuno attraverso pensieri e parole espressi in rete,nonché di condividere idee e modi di sentire.

Sì, sono sempre più convinta che non si può "educare" senza che noi stessi compiamo, insieme ai giovani a cui ci troviamo di fronte , un percorso, per capire chi siamo davvero.La cosa sorprendente è  che, dopo l'attività lavorativa, conclusa da anni, il cammino continua insieme alla "scoperta di sé","illuminata" in qualche modo, da momenti, episodi, emozioni, che hanno reso speciale quell'attività.

 L'abbiamo svolto come donne, quel lavoro così coinvolgente e questo ha significato, anche, cercare di andare al di là del nefasto modello dell'insegnante che ci era stato trasmesso e che, in alcuni casi particolari, abbiamo sperimentato. Abbiamo capito, con fatica, certo, che il "vero" rapporto con i ragazzi è , anche,  emozione , sentita e partecipata, scoperta, insieme ai ragazzi, di novità, interazione, insomma.....Manteniamo un dialogo, se vuole. Dunque, a presto.

 

 Rosanna – Roma- Gentile Fabrizio,mi ha colpito la freschezza dei tuoi sentimenti di studente appena diplomato e quindi con una prospettiva di futuro,tutta da scoprire, e ho voluto scriverti.

Ho letto attentamente la tua lettera sul blog e il tuo pensiero sull'adozione di figli anche da parte di coppie omosessuali, o di acquisti di figli da utero in affitto. Al di là della materia e dell'istinto che in natura porta un animale ad "adottare" e sentire come suo un cucciolo di altro animale (imprinting),penso che nel caso di cucciolo di uomo ,le cose siano più complicate. L’uomo cerca sempre di sapere quale è la sua identità,la sua origine e credo non può bastargli sapere che una donna sconosciuta possa averlo messo al mondo …. E' vero che è un progetto d'amore  a fare  la differenza, ma a volte le motivazioni che spingono ad acquistare un figlio non sono sempre altruiste.

Ho conosciuto diverse famiglie nell’associazione Famiglia Aperta,di cui ho fatto parte per quasi 40 anni,che, oltre ai propri figli naturali,hanno fatto la scelta coraggiosa di essere genitori di figli  altrui,per motivi diversi, soli e abbandonati. L'impegno era gravoso, ma quelle maternità e paternità avevano lo splendore del dono di sé. Auguri per le tue scelte future.

 

 

 

 

 

 

 

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